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Visita alla comunità Shalom

Cristoterapia”, cura possibile …

Sabato 2 febbraio, invece della tradizionale catechesi, i nostri catechisti hanno accompagnato noi adolescenti di 4^ superiore alle porte di Brescia alla “Comunità Shalom”, un posto in cui chi  “si stava buttando via”  rinasce grazie a una suora “tosta”. Lo scopo di questo incontro? Semplice, condividere la vita della comunità: le testimonianze dei ragazzi, dolorose e insieme educative, e poi la cena, la preghiera, i canti, la festa.

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Abbiamo scoperto che alla “Comunità Shalom” si fa quello che anche in tanti altri posti si fa per aiutare le persone in difficoltà: i maschi allevano bestiame, mungono mucche, curano alberi da frutta, diventano falegnami, elettricisti, meccanici; le femmine cuciono, ricamano, dipingono icone e soprattutto decorano ambienti, mobili e soprammobili dei tanti fabbricati in cui si svolge la vita della comunità. Ma ci sono differenze non da poco:

  • non si fa uso drastico di mezzi di correzione: «le punizioni consistono nel vedersi negate le sigarette, o la visione di un film, o il caffè» spiega Claudio, uno dei ragazzi che ci ha raccontato la sua esperienza
  • «non entrano neanche soldi pubblici, né statali né regionali» spiega Luca, uno dei laici consacrati che aiutano suor Rosalina, «perché la comunità vive esclusivamente di donazioni e volontariato, oltre che del lavoro quotidiano di chi ne è parte. Uno degli aspetti straordinari della Comunità Shalom è proprio la grande solidarietà popolare che ha suscitato, il fenomeno di coesione sociale: tutti coloro che escono alla fine del percorso di recupero, che dura mediamente 5-6 anni, entrano immediatamente nel mondo del lavoro, se non decidono di iscriversi all’università»
  • la preghiera ha un posto importante nella “terapia”, la “Cristoterapia”, e nessuno ne è esentato: chi entra in questa comunità lo sa. All’inizio molti la considerano una costrizione fra le altre. Ma nel tempo si rivela, insieme a tutte le altre componenti della vita comunitaria, un fattore decisivo. «Io ero uno che fuori da qui non andava più in chiesa da anni e ne faceva di tutti i colori» racconta Davide «e i primi tempi quando mi trovavo davanti al crocifisso lo sfidavo: “Cosa fai tu per la gente che soffre oggi? Perché li lasci soffrire?”. Lui mi ha risposto attraverso i volti dei volontari, gente che donava se stessa per uno come me».

Dalle testimonianze di Claudio, Luca, Claudia, Davide, Daniele, ospiti insieme ad altri 300 della comunità, abbiamo capito che il problema non è il ricorso alla droga e nemmeno il disagio esistenziale dei giovani: l’una e l’altra cosa sono il sintomo della malattia che ha colpito la famiglia e la società. La famiglia è diventata il luogo del benessere materiale anziché il luogo degli affetti. Questo genera la fragilità e l’insicurezza dei giovani, ripiegati su sé stessi alla ricerca del piacere e del divertimento ed abbiamo scoperto che qui le persone imparano a uscire da se stesse, condizione per trovare (o ri-trovare) se stesse attraverso il lavoro, l’attenzione nei rapporti umani e la preghiera.

Il pomeriggio si è concluso nella “sala grande” che nell’architettura ricorda una moschea ma, in ogni mattonella, ogni finestra e ogni banco, svela segni di cristianità: un brano del Vangelo, un angelo dipinto, l’antico portone di una chiesa trasformato nella porta del paradiso. Qui, al termine di un momento di festa, ci si è salutati dopo la recita della compieta certi che quanto abbiamo vissuto rimarrà nei nostri cuori.

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Luca: “È stata un sabato assolutamente non sprecato … Per quanto riguarda la comunità, all’inizio ho avuto un’immagine molto sfuocata, subito chiarita poi dai ragazzi che, con le loro testimonianze, mi hanno fatto fermare, quando sono tornato a casa, a pensare su come stiano riuscendo a cambiare la propria vita senza una precisa cura ma semplicemente con il dialogo e soprattutto con la fede. … Mi é piaciuto tantissimo, è stato veramente un incontro interessante per noi ragazzi, ormai nell’età giusta per capire queste cose; ho scoperto un mondo, quello della comunità Shalom, che nemmeno sapevo esistesse, vedere 180 persone lavorare duramente, litigare e confrontarsi mi ha veramente toccato e riempito il cuore di gioia. Grazie!”

Paolo: ….

Andrea: …

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